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Haters, l’odio anonimo dei leoni da tastiera: cosa c’è dietro

“Sei di plastica”, “Sei grassa come una balena!”, “Ma come ti conci? Sei una mamma!”, “Sei solo f*****, contro natura!”. “Parassiti, rimandateli a casa sui loro barconi”. Dall’invidia, al razzismo, dall’omofobia al semplice odio social: il peggio dei media, spesso, si può racchiudere nella violenza linguistica degli Haters. Persone che spesso, però, non si accorgono che ‘gli altri sono anche loro’.

Chi sono gli Haters? Odiatori seriali che sul web hanno trovato la loro piazza dello scherno preferita e che si nascondono dietro un profilo social, frequentemente falso.

Da dove nasce tanto odio? E perché, sul web, spuntano Haters e Leoni da tastiera come funghi? Ne abbiamo parlato con la psicologa e psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia. 

“Vengono definiti Leoni da tastiera coloro che provano piacere nel deridere e insultare gli altri, senza poter essere identificati. Quasi come fosse un mestiere che abbia finalità ultima quella di postare e commentare sui social – e in generale sul web – argomenti ‘scomodi’ per il riconoscimento collettivo, attivando ciò che nel gergo virtuale viene definita shitstorm“. 

Una tempesta di odio, in cui ogni goccia è un mix di denigrazioni, insulti, offese. Espressioni di un odio che riesce ad esprimersi e consumarsi nel mondo virtuale: una dimensione nel quale, spesso, si ha la convinzione che tutto sia concesso“.

L’attività degli haters – spiega Chiara Gioia – è un chiaro riferimento dell’impatto che un mezzo, quale il web, ha sulla mente umana. L’avvento di internet ha comportato un passaggio da una cognizione sociale ad una cognizione virtuale. Sono venute meno, cioè, la bellezza e l’importanza di viversi rapporti diretti: cogliendone le vere emozioni, le sensazioni, i sentimenti. Ciò ha fatto sì che si alimentassero atteggiamenti disfunzionali, come quello tipico degli haters”.

“Il comportamento degli haters si nutre del fato che il male fa più notizia del bene, quindi richiama maggiormente l’attenzione. Mentre il bene è discreto, nascosto. Come recita un aforisma attributo a Lao Tzu: «Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce»”.

E a fare rumore, nelle ultime settimane sono state due polemiche che hanno visto gli Haters di nuovo al centro dell’attenzione. La prima, ha riguardato il tema del Catcalling, chiamato in causa dalla giovane Aurora Ramazzotti, ora tra Le Iene dell’omonimo Programma Mediaset. Le è bastato lamentare i fischi e le urla lanciatele per strada, ogni giorno, mentre va al parco a correre per essere sommersa dagli insulti social.

Qualche settimana fa, invece, un’altra polemica ha coivnolto la giornalista del Corriere della Sera Elvira Serra, pesantemente criticata e insultata dopo aver scritto un articolo su Luana D’Orazio, la mamma 22enne inghiottita e uccisa da un orditoio, nella fabbrica in cui lavorava a Pistoia.

Ma perché tanta facilità d’odio e tanta violenza nelle parole?

Haters, “l’arma” dell’anonimato è l’incentivo a non avere freni

I social hanno visto, nel tempo, il proliferare di profili falsi: creati per avere un’identità virtuale non riconducibile alla propria. E proprio queste numerose “identità non definite unite alla possibilità dell’anonimato diventano potenti strumenti per poter umiliare altre persone, ovviamente online. Di conseguenza, la de-individuazione si trasforma nell’arma di cui molti si avvalgono per far emergere l’odio e l’ira che albergano dentro ogni psiche, ma che spesso non sono riconosciuti né, quindi, canalizzati”. 

L’odio per ciò che siamo, ma che non accettiamo

L’odio social si manifesta attraverso l‘hate speech, il ‘linguaggio’ degli haters. Secondo l’Enciclopedia Treccani si tratta “nell’ambito dei nuovi media, di quell’espressione di odio e incitamento all’odio di tipo razzista, tramite discorsi, slogan e insulti violenti, rivolti contro individui, specialmente se noti, o intere fasce di popolazione (stranieri e immigrati, donne, neri, omosessuali, credenti di altre religioni)”.

Ma cosa odiamo? “La psicologia dello sviluppo mette in evidenza come l’odio sia una chiara espressione di una carenza riguardante l’integrità della psiche: ad esempio la svalutazione dell’altro, la proiezione con cui si nega la presenza in sé di sentimenti e aspetti inaccettabili, attribuendoli all’altro. Un ‘Altro’ che viene per questo rifiutato. In tal modo, distruggendo l’altro, anche quella parte che ci portiamo dentro – ma che occultiamo – viene eliminata”, evidenzia la psicologa e psicoterapeuta Chiara Gioia.

“Quella degli haters sembrerebbe essere un’emotività incontrollata”

“L’essere umano è complesso ed è complesso il nostro teatro psichico interno. Odio e amore non si escludono: possono coesistere. Ma bisognerebbe lavorare psicologicamente sui propri lati oscuri, che si rifiutano o si è convinti di non esser parte integrante di noi stessi. I cosiddetti lati Ombra: vale a dire la sede in cui albergano le passioni negative, forti o deboli che siano, ma ineliminabili. Ne deriva la difficoltà di gestione di queste passioni distruttive, soprattutto se non sono riconosciute. Perché – è Jung a ricordarcelo – quando esse provengono dalle profondità dell’inconscio e contengono tracce malate, si manifestano in modo deformato”.

“La difficoltà maggiore sta nel saper canalizzare tali sentimenti disturbati. Viceversa lo sviluppo tecnologico e oggi Internet ci consentono di esprimere con facilità e senza freni le pulsioni che albergano nella nostra psiche. L’ombra, tuttavia, non è solo un vaso di Pandora che contiene tutti quei mali negati e rimossi: nel suo fondo si possono trovare anche parti della nostra personalità utili, creative, genuine, che per varie ragioni abbiamo tagliato via da noi stessi, a volte a caro prezzo per la nostra individuazione personale”.

Odio e Ira, come imparare a distinguerli

L’odio è un “sentimento di forte e persistente avversione, per cui si desidera il male o la rovina altrui” (Treccani). Può essere rivolto a gruppi, famiglie e clan e può avere alla base motivazioni di varia natura: culturale, razziale, religiosa, storica.

“La forza rilevante di questo sentimento è dovuta al fatto che non si ha a che fare con una emozione primaria, ma piuttosto con una miscela variegata di sentimenti e atteggiamenti, frutto della personalità, della storia e delle relazioni dell’individuo. Le molteplici manifestazioni dell’odio hanno alla base delle peculiarità ben specifiche, come ad esempio la passione e la potenza legate alla decisione, ovvero il poter decidere, in questo caso, chi, come e perché attaccare l’Altro: diverso e per tale motivo inconcepibile da accettare“.

In cosa l’odio è diverso dall’ira? 

“L’odio è freddo, programmato nella sua attuazione: come avviene ad esempio nella modalità persecutoria degli stalker, oppure nella pianificazione di atti terroristici. Lo si può, comunque, esprimere in maniera emotiva se unito all’ira, con cui ha analogie e differenze”, spiega ancora la psicologa e psicoterapeuta aquilana.

L’ira, come l’odio, nasce da una tristezza presente nell’animo, per un danno subìto o per la perdita di un bene ritenuto importante. Da qui emerge la volontà di intervenire sulla situazione per cambiarla a proprio favore. Il sentimento dell’ira è mosso da una richiesta di giustizia. Ira che si differenzia dall’odio perché è concreta e individuale: legata a una persona o a un avvenimento preciso. L’odio invece è generalizzato, rivolto a un’intera classe sociale o categoria di persone. Inoltre, l’ira esprime un dolore occasionale, che con il tempo tende a scomparire, cosa che invece non accade nell’odio, che è permanente e pecca nella capacità di valutazione e ponderazione propria della ragione. Chi ne è succube tende ad essere unilaterale, incapace di differenziare”.

Cosa vuol dire essere incapaci di differenziare? “Non riuscire a distinguere le nostre parti intrapsichiche. Perché le rappresentazioni psichiche legate all’odio tendono ad essere oppositive, dividendo la narrazione in valutazioni nette: in termini di buono/cattivo, giusto/sbagliato. Per provare a superare queste problematiche, servirebbe un percorso in terapia”.

L’ira, al contrario – continua Chiara Gioia – ‘si rivolge sempre al singolare concreto’. Se l’ira è impetuosa, del resto, è pur vero che si arresta una volta che ha ottenuto giustizia, mentre l’odio non conosce la pietà e, anche una volta annientato il suo oggetto, non sembra affatto trovare pace. Esso piuttosto cresce con il tempo, fino a diventare l’unica modalità di valutazione e azione, e termina soltanto con la distruzione di colui che lo coltiva. L’ira può comunque essere alla base dell’odio, nel momento in cui degenera e perde la misura e il controllo. Ad esempio la stessa bellezza può essere considerata offensiva per chi se ne ritiene privo“. 

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