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Risse tra ragazzi: il protagonismo negativo che dobbiamo curare

Risse, violenza, disagi e mancanza di un senso del sé. E’ così che i ragazzi da apparenti carnefici diventano vittime di un protagonismo negativo, spesso anche violento, che dobbiamo curare.

Negli ultimi giorni vi abbiamo raccontato di episodi di cronaca con ragazzi, spesso minorenni, protagonisti di risse violente. In centro storico il sabato sera, così come nei giorni normali all’uscita di scuola. Abbiamo parlato del fenomeno con Chiara Gioia, psicologa e psicoterapeuta.
Come si è arrivati fin qui?
“È innanzitutto di fondamentale importanza, per arginare il fenomeno, comprendere i meccanismi che vi sono alla base, per rispondere nel modo più adeguato. Andando oltre pensieri i quali ritengono che gli autori e spettatori di risse sono probabilmente frustrati dall’assenza di valori e di legami affettivi significativi, ritengo doveroso rimandare che tali fatti mettono in scena giovani per cui vivono sentimenti di vuoto che subiscono passivamente. Spesso questi gesti rappresentano dei modi attraverso cui emergere, oppure sono dei rituali interni al gruppo che vengono vissuti come fossero prove di coraggio, in cui l’atto deve essere riconosciuto, visibile, plateale, al proprio gruppo e non solo, anche ai semplici passanti, come dimostrano i fatti che in pieno centro o all’uscita di scuola e non in un luogo ‘nascosto’: la visibilità è un elemento essenziale”.

Gli adulti (scuola e/o famiglia) che ruolo hanno?
“Tali comportamenti, che non possono essere definiti solo frutto della ribellione adolescenziale e trasgressivi, bensì antisociali diventano di preoccupazione per gli adulti siano essi genitori, insegnanti, educatori. La risposta del mondo adulto a questi comportamenti è spesso allarmata, condizionata da pregiudizi e tentata da reazioni repressive che non solo sono inefficaci, ma spesso controproducenti, pertanto sulla base delle conoscenze derivanti dagli ultimi decenni di ricerca sulla trasgressività adolescenziale è invece possibile parlare di un intervento efficace. Gli adolescenti sono naturalmente trasgressivi ed il binomio tra adolescenza e trasgressività è stata da sempre riconosciuta. Può pertanto essere particolarmente difficile distinguere le situazioni in cui la trasgressività e l’aggressività sono al servizio e funzionali alla crescita e all’acquisizione di un’identità sociale e quelle in cui all’opposto sono l’espressione di una tendenza antisociale o l’inizio di espressioni di disagi molto più strutturati”.

Cosa c’è alla base di questi “reati”?
“Scarse motivazioni, la percezione di una mancanza di alternative decisionali, l’agire d’impulso, l’effetto di contagio deresponsabilizzante del gruppo, la scarsa empatia, anestetizzare le proprie emozioni, minimizzare il significato trasgressivo o aggressivo del comportamento, sono tutti tratti che spesso si ritrovano nei ragazzi che commettono reati e nella valutazione iniziale può essere difficile dire quanto siano l’espressione di tratti di personalità stabili, a specifiche condizioni del momento o siano piuttosto da attribuire ad una dinamica evolutiva. Anche il contesto sociale è determinante nell’emergere della trasgressività, in quanto contribuisce, attraverso la definizione di valori sociali condivisi, a stabilire ciò che è permesso o proibito, ponendo di fatto i limiti il cui superamento costituisce appunto una trasgressione, il cui valore può variare molto in base alla cultura o alla subcultura di riferimento.

Cosa fare per arginare il fenomeno?
“Intervenire in modo efficace con gli adolescenti trasgressivi ha una valenza anche dalla prospettiva delle politiche sociale e del welfare. Una prospettiva psicologica e psicoanalitica è fondamentale per riconoscere e comprendere l’appello che il comportamento antisociale dei ragazzi rivolge agli adulti. Necessario partire dall’individuare quel senso comunicativo del comportamento trasgressivo è, infatti, la premessa indispensabile per una risposta efficace da parte del mondo adulto. Una risposta che deve andare oltre la dicotomia tra la “cura” di un disturbo e la “punizione” di un gesto deviante e porsi al servizio di un percorso di crescita che altrimenti rischia di vedere nel gesto trasgressivo un muro invalicabile.

La rissa è un’azione simbolica, che ha lo scopo di superare un blocco, la manifestazione di un aspetto del Sé che non riesce ad esprimersi in altro modo.

“L’accento è da porre non tanto su un problema di controllo pulsionale e nemmeno su un problema relazionale, ma sulla mancanza di un senso di Sé in quanto adolescente, che si costituisca come contenitore di senso per il comportamento: l’antisocialità in questa prospettiva è un blocco nell’acquisizione di un’identità sociale, che da un punto di vista psicologico può essere intesa come acquisizione di un senso di Sé dotato di valore.
Come sia possibile aiutare l’adolescente a superare questo blocco evolutivo, in un modo che può apparire paradossale, è puntare l’attenzione sul processo di soggettivazione che supera il blocco evolutivo che potrebbe essere attivato non solo o non tanto attraverso lo sviluppo di una funzione riflessiva volta ad aumentare l’autoconsapevolezza, ma attraverso un intervento che assegna un ruolo centrale al rapporto con l’ambiente. Questa prospettiva implica che la costruzione del Sé in adolescenza è in primo luogo una funzione della relazione dell’adolescente con l’ambiente di sviluppo, come se il Sé si costruisse nella relazione di rispecchiamento con il contesto e non solo attraverso una riflessione o rispecchiamento nel mondo interno dell’adolescente”.

Quali gli interventi “rieducativi” in atto? Tra questi il progetto Web Black & White del Comune.
“Il cambiamento avviene attraverso nuovi investimenti di senso nelle relazioni tra il soggetto e i suoi oggetti, cioè gli ambienti, Le indicazioni di intervento possono essere molteplici proprio perché all’adolescente la realtà esterna offre opportunità di nuovi investimenti: trattamenti psicoterapeutici, pedagogici, psicopedagogici, orientamento scolastico, attività extrascolastiche, attività sportive, ridefinizione degli spazi familiari, progetti psicoeducativi realizzati su attente analisi dei bisogni, nel caso di questo ultimo basti ricordare il progetto “Web Black & White”, finanziato dall’Assessorato alle politiche giovanili del Comune di L’Aquila, volto al corretto uso delle tecnologie, trattando la tematica del grooming, che ha visto coinvolto ben 120 alunni delle scuole aquilane. In una prospettiva psicoanalitica tale funzione ambientale (esempio il progetto) non si riduce ad un intervento educativo comportamentale perché l’ambiente non svolge solo con funzioni, ma fornisce rappresentazioni, è un luogo che l’adolescente può riempire di significati”.

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