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Niente Bonus psicologico, l’ultimo colpo alla psicopandemia: così non si tutela la salute

Niente bonus psicologico in tempi di Psicopandemia.

Tantissime le conseguenze del Covid19 e degli stravolgimenti che il virus ha portato tra noi. Una realtà testimoniata dai dati. Autolesionismo, depressione giovanile, stress psicologico, disagi. Qual è stata la risposta dello Stato di fronte all’emergenza? Non il bonus psicologico. E forse mai come in questo momento la misura sarebbe stata preziosa per il benessere dei cittadini, perché non bisogna mai dimenticare che benessere non vuol dire solo non soffrire di malattie.

“Come ogni situazione estrema, una malattia porta alla luce quanto di meglio e di peggio c’è in ciascun individuo”, Susan Sontag

L’OMS definisce il benessere e la salute di un individuo come uno “stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattie o infermità”. Questa definizione “identifica la salute con uno stato di benessere fisico e psichico e la considera come fattore non solo individuale ma anche collettivo: ciò vuol dire che nel processo della salute sono partecipi non solo la condizione fisica generale, ma anche componenti psicologiche e sociali. In questo modo l’individuo viene considerato nelle sue tre dimensioni: biologica, mentale e sociale. 
Questo nuovo concetto di salute è in contrapposizione alla definizione tradizionale, che considerava la salute semplicemente come ‘assenza di sintomi’.” A parlare alla nostra redazione è la psicologa e psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia.

La Salute è un diritto

Che la salute sia un diritto lo stabilisce la Costituzione italiana che, nell’articolo 32, stabilisce i principi fondamentali per la tutela della stessa: intesa come diritto dell’individuo e di interesse della società.

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La tutela della salute è così contemplata sotto un duplice profilo: da un lato viene affermato il diritto dell’individuo al recupero della piena efficienza fisica e funzionale (tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo); dall’altro viene riconosciuto e sancito il preciso interesse della collettività ad avere nei suoi vari settori individui pienamente validi (tutela della salute come interesse della società). Sappiamo anche come i concetti di salute, malattia e cura sono fortemente influenzati da variabili culturali e sociali, che implicano notevoli differenze sul piano delle politiche socio-sanitarie”.

Quale benessere psicologico in tempi di pandemia?

“A distanza di quasi due anni dall’arrivo del Covid19 ci si rende sempre più conto del precario equilibrio psichico di moltie di come il danno pandemico sia assolutamente a 360°. Misure di prevenzione della pandemia estremamente rigorose, seppur necessarie – quali la chiusura obbligatoria delle scuole, l’isolamento forzato, il blocco delle attività sportive e la sospensione di tante produzioni e attività commerciali non essenziali – hanno gravemente pregiudicato la vita quotidiana delle persone, la loro attività lavorativa e il loro futuro economico“.

Questa situazione ha “stressato” e indebolito psicologicamente moltissimi soggetti, aggravando problemi preesistenti. Le fragilità intrapsichiche sono un elemento comune di tutta la popolazione, in ogni fascia di età: dal bambino all’adolescente fino all’adulto, ma – in questo particolare momento – hanno riguardato e riguardano anche le coppie, le famiglie, gli anziani, gli operatori sanitari, i pazienti che hanno subito un lutto, coloro che hanno vissuto con manifestazioni più serie il Covid. E ancora coloro che già vivevano in condizione di salute psichica precaria prima della pandemia. All’improvviso tutto ha subito un mutamento, uno stravolgimento che necessita di esser supportato e riconosciuto come diritto del singolo e della collettività”.

Bonus Psicologico, un aiuto per essere ascoltati e per abbattere le difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti

“Se da un lato si avverte e si vive in primis la metamorfosi in negativo del Covid19 – continua Chiara Gioia – l’altra faccia della medaglia ci porta a fare una riflessione. Questa pandemia vuole sottolineare come sia necessario mutare forma mentis e modus operandi: ciò evidenzia l’importanza di saper considerare e saper ancor prima ascoltare il singolo e la collettività, per poter identificare, accogliere e lavorare i bisogni che emergono e necessitano di essere riconosciuti. La sofferenza psichica inascoltata, soffocata, non riconosciuta è indice di un’incapacità comunicativa. Ricordo, infatti che comunicare è saper ascoltare“. 

La comunicazione è il mezzo essenziale attraverso il quale si realizza il rapporto sociale. L’ascolto rappresenta uno dei momenti fondamentali nell’ambito del processo comunicativo, tanto da costituire, secondo alcuni, un pre-requisito della comunicazione stessa. Saper ascoltare vuol dire saper dare e non solo ricevere. L’ascolto è ‘profondo’ quando si fonda su disponibilità, accoglienza, non giudizio e non critica, su un’attenzione concentrata, sulla capacità di dimorare con calma nel silenzio, sull’ascolto di sé. L’ascolto profondo nasce da un interesse per gli altri e da un’attitudine a prendersene cura. E salute, benessere, ascolto e comunicazione sono tutti processi che fanno parte di un grande sistema, quello conosciuto con il nome di Stato sociale, o Stato del benessere”.

“Il cosiddetto Welfare state, secondo una definizione largamente accettata, ‘Un insieme di politiche pubbliche con cui lo Stato fornisce ai propri cittadini, o a gruppi di essi, protezione contro rischi e bisogni prestabiliti, in forma di assistenza, assicurazione o sicurezza’. Si interviene nello specifico a livello di assistenza sanitaria; istruzione pubblica; indennità di disoccupazione, sussidi familiari, in caso di accertato stato di povertà o bisogno e ancora previdenza sociale. È un sistema di norme con il quale lo Stato cerca di eliminare le diseguaglianze sociali ed economiche fra i cittadini, aiutando in particolar modo i ceti meno abbienti”. 

Il problema della tutela dei bisognosi è stato sempre presente, in forme diverse, in ogni comunità organizzata. Nel pieno della pandemia lo è ancora oggi.

Nel 1986 si tenne ad Ottawa in Canada, si tenne la Conferenza dell’OMS. Qui, fu adottata una carta sulla promozione della salute, “La Carta di Ottawa”.

Troviamo in questa Carta un’ulteriore definizione di promozione della salute: “La promozione della salute è il processo che conferisce alle popolazioni i mezzi per assicurare un maggior controllo sul loro livello di salute e migliorarlo. Questo modo di procedere deriva da un concetto che definisce la salute come la misura in cui un gruppo o un individuo possono, da un lato, realizzare le proprie ambizioni e soddisfare i propri bisogni e dall’altro, evolversi con l’ambiente o adattarsi a questo. La salute è dunque percepita come risorsa della vita quotidiana e non come il fine della vita: è un concetto positivo che mette in valore le risorse sociali e individuali, come le capacità fisiche. Così, la promozione della salute non è legata soltanto al settore sanitario: supera gli stili di vita per mirare al benessere.

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Adolescenti, esperienze mancate e poca comunicazione: ascoltiamoli prima del black out

Non è semplice essere adolescenti, soprattutto nel bel mezzo di una psicopandemia.

Se i dati nazionali raccontato di episodi di autolesionismo o di aggressività in crescita, di genitori in difficoltà nella gestione dei propri figli, la fascia degli adolescenti sembra essere quella che più ha risentito dello stravolgimento portato dalla pandemia. Pandemia che per tutti, ma soprattutto per loro, sembra sempre più assumere i contorni di una psico-pandemia. Con tutte le conseguenze del caso.

Hanno perso tanto gli adolescenti di oggi.

Anni di rapporti sociali, anni di formazione in presenza, anni pieni: di relazioni, di amicizie, di carezze dei nonni, di corse in bici con gli amici, di pigiama party in compagnia, di pomeriggi di gruppo alla play, di feste e tradizioni ormai care. Hanno perso quasi tutto, all’improvviso, e spesso si sono ritrovati a chiudersi in sé stessi.

“Per prima cosa bisogna considerare l’adolescenza come un periodo di passaggio per ogni individuo. L’adolescenza, infatti, è un ponte di collegamento tra il mondo del bambino e quello dell’adulto e comporta una necessità per ognuno di sperimentare e soddisfare tante curiosità: pensiamo a quelle relazionali, comunicative e alla necessità viva di fare nuove esperienze relazionali. Un turbinio di emozioni, anche a livello ormonale, che ovviamente richiede un’attenzione per definire la propria identità e il proprio modo di essere“, ci spiega la psicologa e psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia.

Poi è arrivata la psicopandemia

“È stato inevitabile che tutto ciò si arrestasse. Bloccando quelle possibilità di esplorare curiosità, esigenze…così come le volontà di scoprire ciò che siamo. L’adolescente inoltre, al di là della pandemia, ha anche necessità di interfacciassi con il mondo della psicologia. Nella mia esperienza concreta – sia come analista privata che come psicologa nelle scuole – ho osservato emergere un loro interesse nell’avvicinarsi al mondo della psicologia. Strumento non inteso come il bisogno di qualcuno che è malato, ma come terapia per capire le proprie emozioni, per ridurre l’eventuale divario comunicativo con i propri genitori o con i propri compagni. Se queste necessità, però, non vengono riconosciute nel modo giusto da parte degli adulti, l’adolescente rischia di portarsi dietro disagi anche profondi, che possono, in casi estremi, sfociare in atti e in improvvisi comportamenti aggressivi”.

Ha destato molto stupore e ci si interroga sulle motivazioni che hanno condotto un giovanissimo studente delle medie di Sulmona ad accoltellare un collaboratore scolastico Ata, pochi giorni fa.

Capita che un adolescente possa mettere in atto un comportamento che, per la mente adulta, sia assolutamente impensabile. Si tratta, molto spesso, dell’espressione di una mancata capacità comunicativa, di disagio, sofferenza. Un insieme di problemi che non sono stati individuati. Non può trattarsi di un black out nato e consumatosi all’improvviso, poiché non esiste il black out: se esplode l’aggressività è perché manca qualcosa a livello comunicativo e non si è stati in grado di riconoscere determinate emozioni”, continua Chiara Gioia.

Si tende, ad esempio, a demonizzare la tristezza. Perché? Perché rimproverare chi piange? È importante educare al pianto, in quanto si tratta di un’emozione importante. I bambini e gli adolescenti devono imparare a riconoscere la tristezza, solo così riusciranno a gestirla. Specifichiamo che la tristezza può diventare un nucleo ibernato che può sfociare in tante altre forme espressive, anche di profondo disagio o violenza. Il bullo non nasce dall’oggi al domani, uno stato depressivo adolescenziale non nasce dall’oggi al domani, un’esplosione di aggressività non nasce dall’oggi al domani. Alle spalle e alla base c’è sempre un processo maturato nel tempo e, spesso, non riconosciuto. Questo è ciò che emerge soprattutto dai miei interventi nelle scuole: non è un caso se, oggi, tanti ragazzi si mostrano interessati al percorso psicologico. Una realtà liberata dal pensiero arcaico che vede la psicologia come il percorso per ‘curare la pazzia’. Anche in questo è importante saper comunicare. Comunicare l’importanza della psicologia, parallelamente all’importanza della comunicazione tra insegnanti e allievi e, ovviamente, tra genitori e figli. Soprattutto quando il mondo intorno è ingabbiato nelle morse di vincoli, incertezze e angoscia. Se manca la comunicazione tutti i processi che incameriamo diventano potenziali bombe esplosive. Quindi se la psicologia interviene a migliorare la comunicazione, a nutrirla, essa può fornire un sostegno prezioso agli adolescenti. Anche perché per bambini o adolescenti non c’è alcun giudizio da parte del terapista”

“La pandemia ha agito come compressione di tante cose che i ragazzi non hanno potuto vivere, per questo – mai come ora – può servire una guida per i ragazzi. Guida anche psicologica, come supporto educativo utile per gli stessi genitori“. 

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