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Niente Pasqua con chi vuoi, tradizioni ancora rimandate: ma siamo stanchi

Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi. Non reggono neanche più i detti popolari ai tempi del Covid. Tempi che vedranno una Pasqua ‘in solitudine’. Perché gli assembramenti restano severamente vietati.

Pasqua senza rimpatriate, senza allegri pranzi con la famiglia al completo, senza l’attesa di una pasquetta in cui si spera non piova, per poter trascorrere una bella giornata in compagnia. Riti e tradizioni di nuovo rimandati causa Covid. Adesso, però, la gente è stanca, anzi “Stanca e arrabbiata“.

Non poter organizzarsi con le lunghe tavolate per celebrare la Pasqua amplificherà il senso di solitudine di tutti. Bisogna considerare, poi, il pregresso: quindi come si arriva a queste nuove restrizioni. L’intero il 2020 è stato segnato da regole e limitazioni: dopo un anno è cambiato ben poco. Per questo in molti si scateneranno emozioni negative. Nessuno, in Italia, conosce ancora la data in cui l’incubo Covid finirà. In cui stare insieme non sarà più vietato. C’è voglia di tornare a stare in contatto, c’è bisogno di socialità: l’impossibilità di tutto questo comanderà anche durante le Festività pasquali, generando soprattutto rabbia per una situazione di cui ancora non si intravede via d’uscita“. A parlare alla redazione del Capoluogo è la psicologa e psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia, che offre una lettura psicologica su cosa significherà, per molti, trascorrere le festività pasquali sotto le restrizioni vigenti.

3,4 e 5 aprile: per il Paese zona rossa totale. Bisogna, ancora una volta, fare ricorso al proprio senso di responsabilità e dimostrare spirito di sacrificio. E sacrificio, in questo caso specifico, significa anche e soprattutto rinunciare a stare insieme.

Intanto “la collettività ha modo di interfacciarsi con notizie che arrivano dall’estero. Si parla di concerti con migliaia di persone, di normalità riacquistata, di fine dello stato di emergenza. Per il nostro paese, al contrario, la situazione richiede ancora un’attenzione massima. Le immagini viste al tg o gli articoli letti sui giornali su ripartenze non ancora possibili in Italia alimentano, sempre più, quelle emozioni negative che albergano da tempo dentro tantissime persone. Il sacrificio a cui tutti sono sottoposti, del resto, è facilmente riscontrabile in svariate forme. Ognuno si ritrova a costretto rassegnarsi, a dover rinunciare a qualcosa. Rinunce che – va precisato – avvengono mentre la normalità che tutti conoscevamo manca ormai da oltre un anno. E si va avanti con la dad, con la distanza da quei nonni che prima si vedevano spesso, con un’altra Pasquetta che salta. Ma se, a inizio pandemia, si sperava di recuperare queste tradizioni proprio quest’anno, oggi non ci sono più convinzioni: resta solo la speranza che la situazione si risolva prima o poi“.

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Depressed girl sitting on bench in park. Side view of frustrated young woman with closed eyes covering ears with hands and holding head. Depressive syndrome concept

Ansia, la risposta alle paure di un mondo che corre: come riconoscerla

Ansia, tantissimi ne parlano ma non tutti conoscono e riconoscono il problema. L’impatto del Covid è stato pesante: ansia da contatto, da assembramenti, da dad, da smart working e connessione ballerina, o da quella lunga attesa dell’esito di un tampone. L’ansia, però, non sempre è quello che pensiamo.

L’ansia, cos’è? Lo abbiamo chiesto alla psicologa e psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia. “L’ansia è un processo psichico di risposta dell’organismo a stimoli esterni di paura“.

Un processo che porta il soggetto ‘vittima’ del disturbo ad adottare due opposte modalità di comportamento: l’attacco o la fuga. “Cioè tentativi di evitare quel pericolo esterno o di reagire con l’aggressione”.

“L’ansietà è un sottile rivolo di paura che si insinua nella mente. Se incoraggiata, scava un canale nel quale tutti gli altri pensieri vengono attirati”R. A. Block.

In molti casi l’ansia è una reazione normale a situazioni o imprevisti e, in questi contesti specifici, è da considerarsi positiva, perché imput all’azione. Le criticità maggiori si presentano, al contrario, quando si è in presenza di un’ansia patologica.

Oggi dire “ho l’ansia” è diventata quasi un’abitudine, spesso non giustificata da un’effettiva presenza del problema, soprattutto in “quei giovani che affermano di avere l’ansia solo perché ne hanno sentito parlare dagli adulti”. Occorre, tuttavia, “fare una distinzione in partenza: tra l’ansia normale e quella patologica. Differenti pur se il confine tra le due è difficile da stabilire”, ci spiega ancora Chiara Gioia.

Il paziente che manifesta ansia patologica tende a considerarsi vittima di un disturbo ansioso a prescindere. “Arriva in studio per sottoporsi alla terapia già nella veste di soggetto colpito da ansia patologica. In realtà quella sensazione è positiva nella misura in cui ci fa capire che c’è qualcosa da modificare nelle sue abitudini di vita“.

L’ansia patologica, invece, è disfunzionale, equindi negativa, quando è sproporzionata rispetto agli stimoli che l’hanno attivata. In questo caso il soggetto in questione può perdere il controllo delle sue emozioni, avvertendo una percezione di impotenza, che non gli permette di affrontare situazioni nuove ed impreviste, se non accompagnate da un disagio”.

Ansia, quali disturbi può provocare

Ci sono diversi criteri che sono utilizzati in psichiatria per essere inquadrati all’interno una precisa patologia, in fatto d’ansia.

Criteri che permettono di “presentare evolutivamente i disturbi d’ansia in base all’età di insorgenza”. Tra questi:
-disturbo d’ansia di separazione
-mutismo selettivo
– fobia specifica
– disturbo d’ansia sociale
– disturbo di panico
-disturbo d’ansia indotto da sostanze/farmaci

“Ovviamente, però, il disagio si sviluppa in ogni soggetto in maniera diversa. Alcuni possono presentare anche più disturbi in contemporanea, o problemi diversi da quelli citati. Non ci si può ascrivere tutti nella stessa patologia, poiché ognuno somatizza l’ansia a suo modo”.

“Lo psicoterapeuta – specifica Chiara Gioia – deve vedere ciascun paziente e ciascun caso come inedito, unico. Solo così potrà percorrere il tragitto per giungere a svelare il teatro psichico che ognuno ha. Nella letteratura scientifica, l’ansia la si ritrova come disturbo all’interno del Dsm (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) e viene, inoltre, studiata con un approccio di natura psicodinamica. Ci si basa, cioè, sull’interpretazione dell’ansia come il risultato di un conflitto che nasce nel nostro mondo intrapsichico. Lo scopo della terapia, per tale ragione, è quello di comprenderne le origini individuali“.

Quel senso di soffocamento

ansia

L’ansia si manifesta come uno stato di agitazione, “una vera e propria sensazione di soffocamento. Uno stato psichico mentale di fronte a situazioni di possibile pericolo o incertezza, più o meno accentuato a seconda del carattere di ciascuno”.

Il nostro modo di vivere incide in maniera rilevante sul problema. “Oggi, la società vive in un tempo in cui non si fa altro che rincorrere. L’individuo così fa fatica a stare al passo, a stare nel qui ed ora. Si tende ad immaginare tutto ciò che dobbiamo fare e immaginandolo nasce l’ansia dovuta al sentirsi impreparati. Ci sembra di non avere gli strumenti o le capacità per affrontare tutto”.

Informazioni che sono testimoniate da numerosi studi scientifici sul tema. Fonti di letteratura scientifica definiscono l’ansia come “il prodotto di un tempo che si rincorre, poiché non è il nostro ma ci viene imposto dalla collettività“.

La conseguenza? “Ci si sente oppressi e i soggetti possono avvertire un senso di faticosa costrizione. Quanti di noi dicono, in alcuni casi, di sentire come un nodo alla gola? Da qui un generale senso di soffocamento e, a volte, addirittura di panico“.

La società odierna ci fa delle continue richieste alle quali rispondere e l’ansia, in realtà, inizialmente si configura come “un aiuto per attivarci a livello fisico e psicologico. Le difficoltà incontrate nel rincorrere questo tempo imposto dalla collettività e questo mondo che corre sempre più di fretta, tuttavia, generano l’ansia per ciò che potrebbe o non potrebbe accadere”.

La gola che si chiude è, del resto, un dato che deriva direttamente dall’etimologia del termine

“La parola greca μέριμνα (mèrimna), usata nella Bibbia e tradotta come “ansia”, ha a che fare con il vocabolo μέρος (mèros), “parte”, e con il verbo μερίζω (merìzo), “separare in due parti” – ci spiega la psicologa e psicoterapeuta – Indica quindi uno stato d’animo che presuppone la presenza di un combattimento interiore, che divide. Si diventa ansiosi quando si pensa troppo ai propri problemi e ci si preoccupa eccessivamente per cose su cui non si ha un controllo completo. Etimologicamente, inoltre, il termine ansia trova un suo diretto corrispondente nel latino ANXIA, il quale a sua volta deriva, senza dubbio, dal verbo latino ango che significa stringere, soffocare o in altri termini angosciare”.

L’ansia, da ‘positiva’ a negativa: il panico

Un lieve stato d’ansia è da considerarsi addirittura funzionale alla nostra vita “perché ci pone nella condizione di fare qualcosa per raggiungere quella meta che, inizialmente, aveva causato l’attivarsi dello stesso processo ansioso”.

Un’ansia che ha, inevitabilmente, delle attivazioni e manifestazioni somatiche, quali:

“il temporaneo aumento della frequenza del battito cardiaco, tensione muscolare, alterazioni della respirazione, accentuata sudorazione e così via”.

Le manifestazioni, inoltre, caratterizzano anche la “dimensione psicologica dei soggetti in questione. Se, tuttavia, un’ansia leggera ci dà una spinta in più per aumentare le nostre energie – basti pensare a quella paura adrenalinica che precede un esame scolastico – ci sono dei limiti anche per l’ansia. Se ci ritroviamo in uno stato d’allarme in circostanze innocue allora il livello d’ansia è andato oltre. Sono i casi, ad esempio, dell’angoscia che ci attanaglia quando stiamo svolgendo il nostro consueto lavoro o se stiamo semplicemente esprimendo la nostra opinione di fronte ad altre persone, o ancora se temiamo eccessivamente la presenza di microbi, insetti o altri animali”.

È in questo caso che, se non affrontata con la giusta terapia, il soggetto rischia di “convivere con l’ansia in modo disfunzionale. Si prepara, in questo modo, il canale per l’insorgere del panico”.

Perché il panico che non arriva mai da solo, ma è sempre la risultante di un’ansia non trattata. 

‘La sindrome da maniaci del controllo’

La manifestazioni ansiose colpiscono soprattutto le persone più razionali. “Quando una persona si ascrive dentro un modus operandi legato esclusivamente alle attese della società -attese legate al dovere – tralascia i piaceri personali, i momenti di leggerezza. Ma se non ossigeniamo anche la parte legata al nostro istinto (e qui torna alla mente il Mito di Pan, Dio greco delle pulsioni vitali), la nostra psiche non può in automatico cancellare queste esigenze preesistenti. Allora tenderanno comunque ad emergere sensazioni contrastanti tra senso del dovere e impegni da adempiere, da un lato, e bisogni rinnegati dall’altro lato. Con una parte di noi che si ribellerà sempre per riaffiorare”.

“Ascoltiamo questa parte di noi, quella più istintiva, se vogliamo stare bene. Partiamo da questo malessere per arrivare a un rinato benessere. Del resto, continuare a vivere facendo troppe cose, anche per provare a sentire in misura minore il disagio che ci opprime, ci fa restare sempre sull’attenti: avvertendo l’esigenza di essere costantemente ipercontrollati. Ciò non fa altro che far crescere la nostra ansia”.

Ansia, vietato soffocarla

“In tanti arrivano in terapia con una richiesta specifica, cioè quella di bloccare l’ansia. Questa, però, non va soffocata ma accolta, poiché paradossalmente più la abbracciamo più possiamo comprendere cosa cambiare nel nostro modo di vivere. È un messaggio della psiche che ci indica su cosa soffermarci per raggiungere il completo benessere“, sottolinea Chiara Gioia.

Il mancato punto di incontro tra il tempo esterno e il proprio tempo personale porta al disturbo dell’ansia. “Un disagio che ci impone di essere proietttati sempre in avanti. L’ansia tipica del nostro tempo altro non è, in definitiva, che una ribellione. La formula più comune e più diffusa del corpo per esprimere una difficoltà di adattamento a ritmi, riti e conformismi imposti dalla collettività”.

“Il sintomo dell’ansia ha un duplice aspetto, terrificante e di opportunità, di chiave, di apertura verso una nuova strada che conduce l’individuo a conoscere e prendere consapevolezza di una parte che rifiutava avere, una sorta di ombra… I sintomi sono la possibilità di cambiamento, di dinamicità ed un percorso psicoterapeutico che accompagni, un po’ come Virgilio con Dante, l’individuo a scoprire ciò che è insito ma ignoto e spaventoso. I disagi si manifestano per essere accolti, ascoltati e riconosciuti. A mio avviso la conoscenza è un valore che ogni individuo dovrebbe coltivare, nutrire e la Psicoterapia è lo strumento più aulico che si ha a disposizione in ogni fase della vita, di cui ci si può avvalere”.

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